Antichità e nuove infrastrutture convivono
2012 – Italia settentrionale: il Cromlech del Piccolo San Bernardo
2016 – Italia centrale: il carro, la fanciulla e la principessa di Plestia
2012 – Italia meridionale: la necropoli di Galliano (TA) e il ritratto di una società della Preistoria
Negli ultimi anni il dato archeologico è stato sempre più considerato come un’occasione di conoscenza da valorizzare piuttosto che un ostacolo alla prosecuzione dei lavori. Anas ha collaborato in stretta sinergia con le Soprintendenze per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi: da una parte l’interesse collettivo della conclusione delle opere infrastrutturali di pubblica utilità, dall’altra la tutela, lo studio e la divulgazione del patrimonio storico-archeologico, anch’esso appartenente alla collettività. In questo, fondamentale importanza rivestono le indagini archeologiche preventive, che precedono i lavori.
Da nord a sud, vecchi e nuovi rinvenimenti sono stati valorizzati con il contributo concreto di Anas. Come al valico del Piccolo San Bernardo (AO), dove i resti archeologici prima tagliati in due dalla strada statale ora finalmente costituiscono un parco archeologico unitario – sebbene diviso tra due frontiere, francese e italiana; o lo scavo delle necropoli plestine al confine tra Marche ed Umbria con il restauro degli eccezionali corredi, finanziato da Archeolog; o ancora l’indagine delle tombe neolitiche di Galliano (TA), interessate da un progetto di studio e divulgazione finanziato da Anas. Sono solo alcuni degli esempi che dimostrano come archeologia e infrastrutture non siano un ossimoro insanabile, bensì un’opportunità per tutti.
Nel 2015, sotto la spinta degli straordinari ritrovamenti effettuati nel corso dei lavori lungo la SS 77 Val di Chienti, nasce Archeolog Onlus: un’associazione creata da Anas e Quadrilatero Marche Umbria allo scopo di restituire alla collettività il patrimonio archeologico portato alla luce durante i lavori sulla rete stradale. L’associazione opera per il reperimento dei fondi necessari al restauro dei reperti e alla valorizzazione dei siti archeologici, offrendo così un contributo concreto alla conoscenza dei territori e alla relativa attrattività turistica.
Su questa linea, nel 2017, è stato firmato il Protocollo di Intesa MiBACT – Anas, con il quale i compiti di Archeolog sono stati estesi a tutto il territorio nazionale. Tra le novità introdotte dal protocollo vi è l’appalto unico quadriennale per l’affidamento degli scavi archeologici sulla rete nazionale e l’introduzione della figura dell’“archeologo di cantiere”, intermediario tra Anas e le istituzioni (MIBACT, Soprintendenze) nella gestione delle emergenze archeologiche. La collana editoriale “I percorsi dell’archeologia”, illustrerà le scoperte emerse nei lavori.
“Nelle Alpi vicine al cielo, nel luogo in cui, scostate dalla potenza di Graius, le rocce si vanno abbassando, e si lasciano valicare, c’è un luogo sacro, in cui si innalzano gli altari di Ercole: l’inverno lo copre di una neve persistente; ed alza la sua testa bianca verso gli astri”(Petronio, Satyricon, 122). Gli “altari di Ercole” descritti da Petronio non sono altro che le pietre infisse nel terreno a disegnare l’enorme circolo del cromlech, di 73 metri di diametro, situato alla frontiera tra Italia e Francia, sul colle del Piccolo San Bernardo (AO), a 2.188 mt. di altezza.
Mentre i Romani avevano rispettato l’antico complesso megalitico, non fecero lo stesso i nostri contemporanei: agli inizi del XX secolo, parecchie pietre vennero divelte e asportate per consentire il passaggio della SS 26, che attraversava il monumento tagliandolo a metà.
Nel 2012 l’integrità del circolo di pietre fu finalmente ripristinata, grazie a una convenzione stipulata tra Regione Val d’Aosta e Anas che ha destinato ingenti finanziamenti alla realizzazione di una variante alla SS 26. L’intervento rientrava nell’ambito del progetto “Alpis Graia. Archeologia senza frontiere al colle del Piccolo San Bernardo”, che coinvolgeva la Regione autonoma e la Francia. La variante sul lato italiano consentì di isolare i resti archeologici fino a quel momento interrotti dal passaggio della strada.
Non si trattava infatti solo del cromlech, realizzato forse alla fine del Neolitico come osservatorio astronomico e meta oggi di molti appassionati il giorno del solstizio d’estate, ma anche di tutte le altre evidenze archeologiche e architettoniche, di fasi storiche diverse, che caratterizzano il valico, uno dei più importanti percorsi di attraversamento del settore occidentale delle Alpi.
Per la sua natura, il luogo costituiva dunque da sempre un punto strategico di passaggi e scambi. Già dall’età romana, lungo l’antico tracciato della via Alpis Graia, sorgevano infatti due mansiones – oggi distinte in “occidentale” e “orientale” – strutture adibite all’assistenza, al ristoro, e al pernottamento dei viaggiatori e degli animali da trasporto. Sono visibili anche i resti di un piccolo tempio gallo-romano (fanum), forse dedicato a Ercole, mentre un’alta colonna di porfido grezzo di età romana, detta “Columna Jovis”, sostiene oggi la statua di San Bernardo.
Fino al 1947 l’altopiano del colle appartenne al territorio italiano: i bunker e le barriere anti-carro della Seconda Guerra Mondiale sono ancora lì a testimoniarne lo sforzo difensivo.
NOTE
Cossard G., Il cromlech del Piccolo San Bernardo, l’Astronomia n. 82 (novembre 1988), da antiqui.it;
lastampa.it, Piccolo San Bernardo, addio al Cromlech tagliato dalla strada. Accordo tra Anas e Regione per una variante della Statale. L’obiettivo è preservare le testimonianze storiche, 7 giugno 2012;
stradeanas.it, Valle D’Aosta, Anas: aperta la variante alla strada statale 26 “del Piccolo San Bernardo” al confine francese, 2 ottobre 2012;
regione.vda.it, Colle Piccolo San Bernardo
Gli scavi del 2016 per la nuova SS 77 Foligno-Civitanova Marche hanno portato alla luce, al confine tra Umbria e Marche, una densa serie di testimonianze archeologiche disseminate lungo il tracciato viario e concentrate nel tratto tra Muccia e Colfiorito, che attraversano oltre tre millenni di storia. Un territorio, quello dell’altopiano plestino, fin dalla protostoria solcato da percorsi che mettevano in comunicazione l’entroterra con il mar Adriatico, e battuto da antiche vie di transumanza: il valico di Colfiorito era infatti un importante passo dell’appennino umbro-marchigiano, strategico punto di scambio e transito di persone e merci.
Grazie alla collaborazione tra Anas e Sovrintendenze, sono stati raggiunti importanti risultati scientifici. Di particolare interesse, tra i numerosi ritrovamenti, un’area caratterizzata da quasi 1000 buche di palo riferibili a varie strutture, tra cui una grande capanna absidata lunga circa 20 mt. plausibilmente databile all’Età del Bronzo e due aree sepolcrali, riconducibili alla popolazione italica degli Umbri Plestini e databili tra VII e V secolo a.C., che attestano tipi monumentali prima sconosciuti in questo territorio, riflesso di un’agiata società di tipo gentilizio.
Nella zona di Colfiorito di Foligno, delle 75 sepolture a fossa messe in luce, quelle più importanti erano monumentalizzate da circoli di blocchi di pietra infissi nel terreno. Una di queste ha restituito un corredo eccezionale: oltre agli scheletri di un uomo, una donna e due fanciulli, sono stati trovati i cerchi in ferro di 6 ruote, appartenenti forse a due tipi di carri, insieme a morsi equini, armi e vasi. Un’altra sepoltura si segnalava per la ricchezza del corredo, che comprendeva gioielli e oggetti preziosi, testimonianza dell’alto rango della defunta, soprannominata “Principessa di Plestia” – dal nome del vicino insediamento romano.
Nell’area sepolcrale scavata nel comune di Serravalle di Chienti sono attestate tombe “a fossato anulare”, cioè tombe in cui un fossato circondava il tumulo di terra, simbolo dello status aristocratico del defunto. Tra queste si distinguono le deposizioni femminili, accompagnate da raffinati corredi, come la tomba 4, detta della “fanciulla di Plestia”: i monili, le fibule, i pendagli in bronzo caratteristici del locale costume femminile, i vasi decorati, e gli altri oggetti, rinvenuti in precarie condizioni di conservazione, sono stati pazientemente e sapientemente restaurati grazie ai fondi reperiti dall’associazione Archeolog Onlus.
NOTE
Frapiccini N., Gli scavi sulla S.S. 77 nelle Marche (Quadrilatero Marche Umbria), in AA.VV., L’archeologia si fa strada. Scavi, scoperte e tesori lungo le vie d’Italia, Soveria Mannelli 2017;
archeologonlus.org
Il versante ionico della Puglia, con il mare, la pianura fertile e l’entroterra boscoso, doveva offrire tutte le risorse necessarie alla vita e allo sviluppo della nuova società neolitica, basata su agricoltura e allevamento.
Tracce di una di queste antiche comunità sono state intercettate in occasione delle indagini preventive eseguite dalla Soprintendenza archeologica della Puglia nel territorio di Palagiano, in località Galliano (TA), non lontano dalla costa tarantina, nel corso delle opere stradali condotte dall’ANAS per l’ammodernamento della SS 106 Jonica.
Le ricerche hanno messo in luce, tra il 2009 e il 2012, una necropoli databile alle fasi finali del Neolitico (fine V – inizio IV millennio a.C.), periodo poco documentato in quell’area.
L’area sepolcrale era circoscritta su due lati da segnacoli in calcare. Le tombe a grotticella ipogeica, scavate nel banco roccioso, presentavano un pozzetto di accesso e una cella funeraria sigillata in vario modo – da lastre di pietra, “muretti” o grandi macine in carparo – e conservavano intatte al loro interno le deposizioni degli inumati con i relativi corredi funerari, di cui Anas ha finanziato il restauro.
È attestato il riutilizzo delle tombe, che venivano riaperte per deposizioni successive, probabilmente di consanguinei o affini, ma sempre singole. Il rituale era ben codificato: i defunti erano adagiati in posizione semi-contratta sul lato destro del corpo, a volte su un letto di pietra, mentre i resti delle deposizioni precedenti venivano accantonati sul fondo della cella. Condividendo il luogo di sepoltura, la comunità voleva forse sottolineare l’importanza dei vincoli di parentela o di altro tipo tra gli inumati.
Alcune delle deposizioni erano accompagnate da elementi di corredo di un certo pregio, con ceramiche tipiche del rituale funerario, elementi ornamentali, strumenti in selce scheggiata e in osso. Talora si sono ravvisate tracce di ocra rossa su vasi e su alcune parti scheletriche, secondo un costume diffuso nel Neolitico mediterraneo.
La presenza del corredo doveva rivestire un certo significato: esso connotava figure particolari, emergenti in qualche modo nel gruppo. Alcune sepolture femminili, in particolare, sembravano distinguersi per la presenza di vasellame pregiato.
L’ottimo stato di conservazione e la consistenza numerica del complesso hanno permesso di delineare un ritratto di questa comunità neolitica, che appare una società articolata, differenziata al suo interno e con una spiccata specializzazione delle attività (ceramica, pietra, intreccio di fibre vegetali…), evidente in particolar modo nei contesti funerari, dove i rituali esigevano oggetti e compiti precisi.
NOTE