1935

L’Italia conquista l’Etiopia

Partenza dei soldati italiani per la Guerra d’Etiopia. Montevarchi, 1935
Partenza dei soldati italiani per la Guerra d’Etiopia. Montevarchi, 1935
Manifestazione a Roma contro le sanzioni.
Manifestazione a Roma contro le sanzioni.
Soldati etiopi ad Addis Abeba ascoltano il proclama che annuncia il ritorno nella capitale dell'imperatore, maggio 1941
Soldati etiopi ad Addis Abeba ascoltano il proclama che annuncia il ritorno nella capitale dell'imperatore, maggio 1941

L’espansione in Africa orientale era un obiettivo che lo Stato italiano aveva sognato già sotto il governo di Francesco Crispi, nell’ultimo decennio dell’800. Allora fu un fallimento. Per il governo fascista questa operazione assumeva un valore altamente simbolico: rafforzare il prestigio internazionale e rinsaldare internamente il regime. Mussolini non badò a spese per il raggiungimento dell’obiettivo imperiale: investì notevoli risorse finanziarie in una campagna propagandistica imponente, approvò l’invio e l’utilizzo in Etiopia di un numero ingente di uomini e mezzi e autorizzò il maresciallo Pietro Badoglio e il generale Rodolfo Graziani a impiegare in alcuni casi anche le armi chimiche, in particolare gas asfissianti, pur banditi dalla convenzione di Ginevra del 1925. 

Il 2 ottobre 1935 ebbe inizio l’invasione. L’aggressione dell’Italia contro l’Etiopia ebbe rilevanti conseguenze diplomatiche e suscitò la riprovazione della comunità internazionale. Il negus dell’Abissinia si rivolse alle Società delle Nazioni, la quale dichiarò l’Italia Stato aggressore e applicò le sanzioni economiche, che tuttavia non fermarono il governo fascista e a cui, tra l’altro, non aderirono Germania, Austria, Ungheria e Albania.

La guerra si concluse dopo sette mesi con l’ingresso del generale Pietro Badoglio nella capitale etiopica, Addis Abeba, e la successiva proclamazione dell’Impero da parte di Mussolini il 9 maggio 1936, a cui corrispose l’assunzione della corona imperiale da parte di re Vittorio Emanuele III.

Ma le ostilità non cessavano. Le attività della guerriglia etiopica dei cosiddetti arbegnuoc (“patrioti”) determinarono misure repressive da parte della polizia coloniale italiana durante le quali non vennero risparmiate azioni terroristiche anche nei confronti della popolazione civile. 

Fascismo e nazismo erano sempre più vicini, per molteplici motivi. Non solo l’appoggio tedesco all’espansionismo italiano, ma anche le difficoltà economiche del regime fascista, il bisogno di esportare, reso stringente dalla chiusura dei mercati britannici nei confronti dell’Italia.  L’Italia divenne fornitore privilegiato di prodotti agricoli, forza lavoro e alcune materie prime per l’alleata Germania che, in cambio, inviava all’Italia grossi quantitativi di carbone. La conquista dell’Etiopia fu il pretesto per Mussolini per giustificare la necessità di discriminare i popoli cosiddetti “inferiori”. Dopo le prime persecuzioni contro i neri, toccò agli ebrei. Nell’autunno del 1938 il regime fascista varò le leggi razziali, emanate sull’esempio di quanto aveva già fatto il nazismo.

Nel 1941 l’esercito britannico, insieme alla resistenza etiope, liberò il territorio dopo 5 anni di occupazione italiana. Il trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947, sancì per l’Italia la perdita delle colonie africane.