La bicicletta: l’invenzione del cambio
Il 6 aprile 1818, al Salone di Parigi, fu presentata la “Draisina” (o draisine), l’antenata della bicicletta, costruita in legno e ferro, con due ruote allineate di cui l’anteriore sterzante, ma senza pedali né freni. Per guidarla bisognava sedersi sul sellino e spingerla puntando i piedi a terra. Lo scopo era quello di velocizzare il trasporto su strada, sostituendo così i cavalli, risparmiando sui costi di gestione e permettendo a più persone di viaggiare. La velocità non era elevatissima, era molto pesante a causa del materiale utilizzato, ed era particolarmente alta, forse proprio per ricordare ancora la posizione del suo “cavaliere”.
Intorno al 1860, con l’aggiunta dei pedali alla draisina, nacque il velocipede, con la ruota anteriore più grande alla quale erano connesse delle pedivelle (elementi metallici di forma allungata che collegano il movimento centrale ai pedali delle biciclette). Dal velocipede si passò al biciclo nel 1869, con l’introduzione delle ruote con i raggi di Eugene Meyer e del telaio di Herry Lowson nel 1877.
Attorno al fenomeno “bicicletta” nacque così una curiosità popolare che portò a organizzare dimostrazioni pubbliche, squadre e gare di velocità, scommesse e si affermarono i cronisti di questi eventi “sportivi”. Ma la diffusione della bici non poteva rifuggire dal contesto stradale: le vie di comunicazione in Europa, molte ancora di epoca romana, erano dissestate, con numerose buche che non agevolavano lo scorrimento di un mezzo a due ruote. Inoltre, nelle competizioni, in caso di pendenze molto elevate i corridori dell’epoca non avevano altra scelta che scendere e spingere la bicicletta.
Una delle più importanti innovazioni nell’ambito ciclistico si ebbe però nel 1930, quando Tommaso e Amedeo Nieddu collaudarono il cambio “Vittoria Margherita”, sistema che consentiva al ciclista di modificare in corsa lo “sforzo” di andamento della bicicletta, variando il rapporto di pedalata, così da affrontare anche le salite più impervie. Costruttori e meccanici dell’epoca cercarono di risolvere la questione facendo in modo che il ciclista non dovesse fermarsi durante la corsa per smontare la ruota, come accadeva fino a quel momento.
Il cambio “Vittoria Margherita” fu la scelta di ciclisti come Bartali e Binda, perché funzionava anche se sporco di fango; questa era una caratteristica importante visto lo stato delle strade italiane tra le due guerre, più simili a tratturi che a vere e proprie vie di comunicazione moderne.
NOTE