1931

IRI e IMI, due enti per superare la crisi economica

Istituto Mobiliare Italiano

1933 - Istituto per la Ricostruzione Industriale

Abruzzo, ponte ad arcate sul fiume Foro all’altezza di Francavilla al Mare (Archivio storico Anas)
Abruzzo, ponte ad arcate sul fiume Foro all’altezza di Francavilla al Mare (Archivio storico Anas)

Tra la fine degli anni ‘20 e l’inizio degli anni ‘30 del ‘900, nei paesi economicamente più progrediti del mondo ci fu una violenta crisi economica e finanziaria che ebbe, ovviamente, forti ripercussioni anche in Italia, in particolare nei settori industriali. Ciò determinò una crescente tendenza all’isolamento economico del Paese e al blocco degli investimenti delle banche nel campo dell’economia privata. 

La crisi mise inoltre in evidenza la scarsa produttività di alcuni raggruppamenti industriali, che non costituivano complessi economici attivi, ma semplici accostamenti di aziende realizzati per motivi finanziari. 

Bisognava dunque fornire alle industrie non ancora fallite il credito a lunga scadenza necessario per proseguire le loro attività, dividere i raggruppamenti di aziende aventi strutture troppo complesse per permettere un’efficiente e agile direzione, garantire liquidità agli istituti bancari in crisi per l’esercizio del credito a breve termine, escludendoli dall’esercizio del credito mobiliare. 

Mentre alcune nazioni europee, per uscire dalla crisi, videro come unica soluzione la svalutazione monetaria, in Italia il Fascismo scelse la via della ricostruzione immediata, attuata con energia e tempestività, benché fosse una decisione non priva di rischi e difficile da attuare. Per facilitare tale ricostruzione il Regime creò due istituti a supporto dell’industria e dell’economia: l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) e l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI).

Il primo era un ente di diritto pubblico che finanziò le attività imprenditoriali fornendo credito alle aziende per grandi progetti industriali. Nato nel 1931, fu l’ente bancario che gestì i finanziamenti americani per la ricostruzione post-bellica. A seguito di una serie di fusioni, oggi l’Istituto fa parte del gruppo Intesa Sanpaolo.

Il secondo era un istituto nel quale vennero fatte confluire le partecipazioni statali di banche private acquisite dallo Stato italiano per evitarne il fallimento a seguito della crisi. L’Istituto sopravvisse alla guerra e alla fine del Fascismo, al boom economico, ma non all’Europa: i principi che l’avevano costituito contrastavano infatti con la normativa comunitaria così, nel 1992, venne trasformato in società per azioni (e quindi liquidato nel 2000).

Bozzetto di titolo IMI, anni Trenta (progettocultura.intesasanpaolo.com)
Bozzetto di titolo IMI, anni Trenta (progettocultura.intesasanpaolo.com)

La crisi dei primi anni ’30 del Novecento che avevano attraversato le grandi “banche miste” (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma e Credito Italiano) fu il motivo della fondazione dell’Istituto Mobiliare Italiano (IMI). Le banche, infatti, raccoglievano i risparmi dei privati in depositi a breve termine e li utilizzavano per finanziare attività industriali su lungo e medio periodo. Per l’IMI, invece, il compito era un altro: esso si doveva occupare del credito per le attività industriali su lungo e medio periodo, emettendo obbligazioni per finanziarsi.

L’Istituto fu così creato grazie al Regio Decreto 1398, il 13 novembre 1931, come ente di diritto pubblico, per promuovere la ricapitalizzazione dell’industria italiana. Insieme all’IRI esso svolse un ruolo primario di sostegno all’economia in quegli anni di crisi economica.

A capo dell’Istituto fino al 1936 fu messo il presidente Teodoro Mayer (Trieste, 1860 – Roma, 1942), ma alla sua organizzazione iniziale contribuirono anche Alberto Beneduce (Caserta, 1877 – Roma, 1944), presidente dell’IRI, e Felice Guarneri (Pozzaglio ed Uniti, 1882 – Roma, 1955), Ministro per gli Scambi e le Valute durante il Fascismo dal 1937 al 1939.

Dopo la seconda guerra mondiale, proprio l’IMI fu una delle banche maggiormente impegnate nella ricostruzione del Paese, avendo in gestione le risorse finanziarie statunitensi concesse tramite la Eximbank. Le autorità del Piano Marshall, infatti, preferirono non far gestire i fondi direttamente dallo Stato italiano. Di conseguenza Donato Menichella (Biccari, 1896 – Roma, 1984), governatore della Banca d’Italia, propose che i fondi fossero gestiti direttamente dall’IMI.

L’ente svolse anche attività di finanziamento di grandi progetti industriali, di promozione della piccola e media impresa, di sostegno alle esportazioni e di promozione dello sviluppo economico del sud Italia, diventando il più importante istituto nazionale di credito a medio-lungo termine.

All’inizio degli anni ’70 l’IMI si occupò della gestione dei fondi governativi dedicati allo sviluppo della ricerca industriale, affermandosi come unica realtà tutta italiana, per la capacità di valutazione di progetti industriali sulla base dei contenuti scientifici e tecnologici presenti nei medesimi. 

L’IMI fu poi trasformato in Società per Azioni grazie al Decreto Legislativo n.356 del 20 novembre 1990. Il processo di privatizzazione, avviato nel 1996, si concluse nel 1998 quando, in seguito alla fusione dell’IMI con l’Istituto bancario San Paolo di Torino, nacque una delle due grandi banche italiane, San Paolo IMI.

Stabilimento Ansaldo nel 1935 (fonte: ansaldo-sts.com)
Stabilimento Ansaldo nel 1935 (fonte: ansaldo-sts.com)
Stabilimento Alfa Romeo del Portello negli anni ‘30
Stabilimento Alfa Romeo del Portello negli anni ‘30

Dopo la prima guerra mondiale ci fu una grave crisi, dovuta alle difficoltà di recuperare gli investimenti effettuati nell’industria bellica, che travolse le banche che avevano grossi interessi in queste stesse industrie.

Fu così che si sentì l’urgenza di costituire un ente temporaneo con lo scopo di salvaguardare gli istituti creditizi e le aziende a loro connesse

L’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, fu costituito con il Regio Decreto 5/1933. Esso intervenne concretamente nell’economia del Paese rilevando dalle tre grandi banche di credito ordinario, Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano  Banco di Roma, e dalle loro finanziarie le partecipazioni azionarie nei settori delle attività manifatturiere e di servizio. Così facendo, l’IRI diventò proprietario di oltre il 20% dell’intero capitale azionario nazionale, e quindi il maggiore imprenditore italiano, con aziende come Ansaldo, Acciaierie Terni, Ilva, Alfa Romeo, ecc. 

Uno dei principali creatori dell’ente, nonché primo presidente, fu Alberto Beneduce (Caserta, 1877 – Roma, 1944), molto stimato da Benito Mussolini. Egli portò l’ente ad avere un ruolo centrale nella ricostruzione industriale postbellica, con interventi volti allo sviluppo economico delle regioni meridionali, al potenziamento della rete autostradale e delle telecomunicazioni, al sostegno dell’occupazione.

Nel 1937 il governo trasformò l’IRI in un ente pubblico permanente con Regio Decreto Legge 905/1937.

Nel 1950 l’ingegnere e industriale Oscar Sinigaglia (Roma, 1877 – 1953) strinse un’alleanza con gli industriali privati, seguendo la sua intuizione secondo cui per aumentare la capacità produttiva della siderurgia italiana era necessario collaborare con operatori privati per stabilire e realizzare profitti maggiori. Ora l’IRI serviva a sviluppare la grande industria di base e le infrastrutture necessarie al Paese. Alcuni esempi furono l’industria siderurgica, quella della rete telefonica e la costruzione dell’Autostrada del Sole.

Dopo la crisi energetica del 1970, l’ente cedette alcune partecipazioni azionarie e permise l’ingresso sul mercato mobiliare ad alcune imprese del gruppo.

Al 1980, l’IRI contava circa 1000 società con oltre 500 mila dipendenti e, negli anni ‘90, era al settimo posto nella classifica delle maggiori società del mondo per fatturato, con 67,5 miliardi di dollari di vendite. Fu una delle più grandi aziende non petrolifere al di fuori degli Stati Uniti. Trasformato in società per azioni nel 1992 (Decreto Legge 333/1992), cessò di esistere nel 2000.