La nascita dell’AASS e lo sviluppo della tecnica stradale
1933 - L’arredo stradale
Alla fine della prima guerra mondiale, con l’avvento del regime fascista, le condizioni in cui si trovavano le strade italiane esigeva un decisivo cambiamento nel sistema legislativo relativo ai servizi per la viabilità. Furono così emanati il Regio Decreto del 15 novembre 1923, n. 2506, e la Legge del 17 maggio 1928, n. 1094. Il Decreto stabilì una nuova classificazione delle strade, divise in statali, provinciali, comunali, secondarie e militari; la Legge, invece, istituì un’azienda autonoma dello Stato che si occupasse delle strade statali e individuò 137 grandi arterie, per una lunghezza complessiva di 20.700 km.
Per la gestione di tali strade si istituì l’Azienda Autonoma Statale della Strada (AASS), con lo scopo di gestire le strade più importanti, le “statali”, e provvedere alla manutenzione ordinaria, alle riparazioni straordinarie e alle sistemazioni generali. Nel 1929 l’Azienda presentò un piano di riordinamento e ricostruzione per circa 6.000 km di strade, preventivato per sei anni e al costo di circa 180 milioni l’anno.
L’avvento dell’automobilismo anche per i trasporti privati aveva di fatto conferito alla strada un’indiscussa importanza in quanto la modernizzazione del Paese, che puntava alla creazione di una rete viaria era uno degli obiettivi cardini della propaganda del ventennio. L’AASS ne aveva raccolto le istanze.
Essa faceva affidamento sui proventi derivanti dallo Stato nonché sui proventi dei tributi speciali in materia di strade, delle tasse per l’affissione lungo le strade statali, di quelle per le concessioni sul demanio stradale e delle riscossioni delle contravvenzioni fatte dalla Milizia della Strada.
Con l’invasione dell’Etiopia e la creazione dell’Africa Orientale Italiana, l’AASS fu coinvolta nella realizzazione della rete stradale nei territori occupati. In Italia, contemporaneamente, l’Azienda mise a punto una serie di innovazioni tecnologiche e modi di lavorazione della strada unici nel loro genere, come la massicciata a trattamento superficiale ancorato che permetteva di avere superfici più scabre e meno scivolose; oppure l’introduzione della polvere d’asfalto di cui l’Italia era ricca (Sicilia e Abruzzo), al posto dei materiali bituminosi o catramosi da importare dall’estero.
Nel 1944 l’AASS venne soppressa e al suo posto dopo la fine della seconda guerra mondiale fu creata l’ANAS, Azienda Nazionale Autonoma delle Strade Statali, nel 1946.
1 – “I primi compiti della Azienda Autonoma Statale della Strada” – R.A.C.I. Giornale Ufficiale del Reale Automobile Club d’Italia – 1928, n. 26 2 – “Le importanti deliberazioni dell’Azienda della Strada” – R.A.C.I. Giornale Ufficiale del Reale Automobile Club d’Italia – 1928, n. 29 3 – “L’opera della AA.SS. nel primo biennio di gestione” – R.A.C.I. Giornale Ufficiale del Reale Automobile Club d’Italia – 1930, n. 364 – “Le Strade – 120 anni” 6/2017: Correva l’anno 1938…
Quando nel 1933 fu varato il primo Codice della Strada si faceva espresso riferimento ai “cartelli indicatori”, gli odierni segnali stradali. Questi oggetti, appartenenti all’era dell’automobile, in circa 100 anni hanno subito moltissime trasformazioni sia grafiche che funzionali, essendo cambiate le esigenze cui devono rispondere.
I primi cartelli indicatori, installati dal 1903 dal Touring Club Italiano (TCI), servivano essenzialmente ad avvisare i turisti pionieri delle quattro ruote del nome del paese in cui erano arrivati, delle direzioni che dovevano prendere e delle distanze chilometriche tra un luogo d’interesse e l’altro. A inizio secolo ci si accorse infatti che in Italia le indicazioni sulle strade erano insufficienti, spesso del tutto mancanti, tanto che il problema delle segnalazioni stradali assunse importanza. I cartelli indicatori del Touring erano utili a chi percorreva le strade, favorendo il movimento di viaggiatori nazionali e stranieri, allora chiamati forestieri, che biciclette, motociclette e automobili stavano incentivando.
Era quindi chiaro come una corretta viabilità stradale potesse giovare non solo in termini di efficienza di spostamento per i cittadini, riducendo il numero di incidenti e di decessi, ma soprattutto come motore economico emergente dal turismo dei paesi vicini, come Francia, Austria e Germania.
Verso la fine degli anni ‘20 si affermò dunque la questione dell’arredo stradale, che prevedeva lungo le strade e le autostrade strutture di assistenza ai viaggiatori come le aree di servizio; una segnaletica semplice (quella orizzontale si avvicinava già ai criteri odierni, con strisce di vernice per dividere le corsie); elementi strutturali accessori che migliorassero la viabilità come paracarri e divisori stradali; strutture di riscossione monetaria come caselli per il pedaggio.
Già dal 1922 il TCI, insieme alla FIAT e alla Pirelli, aveva apportato alcune migliorie tecniche all’arredo stradale (adozione di materiali più resistenti alle intemperie) nonché la distinzione dei cartelli in tre categorie, validata alla Conferenza di Ginevra sulla segnaletica stradale del 1931: segnali di direzione con forma di freccia; segnali di pericolo di forma triangolare; segnali di divieto di forma rotonda.
Il decreto del 1936 prescrisse le dimensioni, le forme e i colori dei cartelli, ma vietò ogni indicazione pubblicitaria e dichiarò facoltativa la posa dei cartelli di direzione. Tra il 1920 e il 1944 furono collocati in Italia oltre 335.000 cartelli.